Certo, non fu solo colpa sua, ma è innegabile che con il contenuto “italianista” dei suoi report al Consiglio di Sicurezza, il generale britannico Terence Airey, travalicando le competenze del suo mandato internazionale di Governatore consistente nel rispettare e far rispettare i dettami dei 21 firmatari del Trattato di pace di Parigi e assumendo bensì una posizione sfrontatamente filo italiana, contribuì considerevolmente a far si che il Territorio Libero di Trieste tra il 1947 ed il 1951 non fosse stato realizzato de facto.
Il rafforzamento del Territorio Libero di Trieste implicava anzitutto lo sviluppo, fra i triestini, di una coscienza cittadina che avrebbe portato ad un amichevole cooperazione fra gli italiani e gli sloveni, basata sulla reciproca rinuncia ad ogni pretesa di una futura unione con l’Italia o con la Jugoslavia. Con tale premessa, il Territorio Libero non avrebbe rappresentato un compromesso tra la Jugoslavia e l’Italia imposto dalle grandi potenze, ma un accordo liberamente raggiunto dai due gruppi etnici e approvato dai due paesi direttamente interessati. Ciò avrebbe significato la rinuncia delle due nazioni ad imporre il proprio sistema sociale e politico. Inoltre la popolazione del Territorio Libero poteva acquisire una propria coscienza cittadina, soltanto se l’economia fosse stata indipendente e basata sul tradizionale commercio con il retroterra. Gli irredentisti si opposero a qualsiasi tendenza allo sviluppo di una coscienza indipendente dei triestini, e allo sviluppo di una forte economia indipendente di Trieste o di una pacifica cooperazione fra i gruppi etnici. Gli irredentisti trovarono un grande sostenitore nel comandante della Zona A, generale Airey.
Fin dall’inizio egli negò che esistessero nella Zona A segni di appoggio al Territorio Libero. In seguito, di fronte alle prove della crescente attività indipendentista e della ripresa economica, egli continuò a sottovalutare il peso dei fatti che contraddicevano le sue opinioni.
Egli scrisse nella sua prima relazione inviata al segretario generale delle Nazioni Unite il 18 febbraio1948:
“A quanto risulta dal periodo preso in esame nella mia relazione, non si è avuta alcuna prova di una effettiva, disinteressata e pronta tendenza alla formazione di una coscienza politica triestina, distinta ma non necessariamente contraria all’ideologia nazionale e razziale italiana e jugoslava. E’ da ritenere che le speranze e le aspirazioni dei due gruppi in linea di massima continueranno a risiedere nel ritorno dell’Italia o nell’annessione alla Jugoslavia.
Entrambi i motivi, razziale e politico, sono strettamente intrecciati e nel complesso coloro le cui simpatie vanno all’Italia propendono per gli ideali democratici dell’occidente, mentre elementi slavi, appoggiati da un blocco di italiani aderenti alla “linea del partito” sono seguaci del modello del totalitarismo comunista. Un movimento democratico e nazionalista sloveno, indipendente dall’UAIS e dagli organi suoi satelliti, è stato recentemente creato ma ha pochi seguaci ed è già stato oggetto di poco velate minacce di ritorsioni nella stampa slavo-comunista.”
Dato che non si era riusciti a nominare un governatore del Territorio Libero, il generale Airey sottolineava nella stessa relazione la necessità di trovare una nuova soluzione. Quando giunse la risposta nella forma della dichiarazione tripartita nel marzo 1948, egli ne raccomandò caldamente l’attuazione nella relazione relativa al primo trimestre di quell’anno, trasmessa al segretario generale delle Nazioni Unite il 5 marzo 1948:
“Io credo che una ripresa economica, naturale e robusta, può incominciare soltanto quando il Territorio sarà reincorporato all’Italia, fatto questo che solo può ridonare vita ai suoi cantieri e alle industrie affini… Perciò traggo la conclusione che la soluzione del problema di Trieste sta nell’attuazione, quanto prima possibile, della proposta tripartita del 20 marzo 1948.”
Nella sua terza relazione, relativa al secondo trimestre del 1948, il generale Airey giustificò l’accordo finanziario con l’Italia rilevando che l’economia di Trieste era disorganizzata e priva delle risorse italiane, e che non aveva nessuna altra possibilità di raggiungere la prosperità. Parlando poi delle riforme amministrative introdotte con l’Ordine n. 259, egli affermava che tali riforme si uniformavano strettamente al modello italiano e “ciò è in conformità coi desideri della maggioranza della popolazione locale.”
Di nuovo egli asseriva: “Si è reso sempre più evidente che la costituzione del Territorio Libero, stabilita come un compromesso dal trattato di pace con l’Italia, non è né politicamente, né economicamente vitale.”
Gli irredentisti e il governo italiano non avrebbero potuto aspettarsi una relazione migliore.
Tali parole ben difficilmente potevano rafforzare una coscienza indipendentista. Ma il movimento ricevette un nuovo colpo, quando ancora dava segni di vita, dalla relazione del generale Airey relativa al quarto trimestre del 1948, nella quale venivano attribuiti agli indipendentisti rapporti con il blocco comunista:
“Non esisteva alcuna prova di una effettiva, disinteressata e pronta tendenza alla formazione di una coscienza politica triestina… Vi sono, è vero, partiti e fronti indipendentisti, ma i principali tra essi si rivelano chiaramente come le note propaggini del comunismo internazionale, donde essi derivano le loro aspirazioni, le loro istruzioni e i loro fondi.”
Durante il periodo della rottura tra Tito ed il Cominform e della conseguente scissione del gruppo comunista della Zona A, il generale Airey continuò a sostenere che esistevano solo due blocchi, uno favorevole all’Italia e all’occidente e un altro filocomunista. Di nuovo egli collegava il blocco indipendentista con i comunisti. Egli concordava con la politica espressa nei giornali irredentisti italiani, che accusavano il Fronte indipendentista di ricevere appoggi dalla Jugoslavia, ma non riuscì a prevedere le conseguenze politiche della rottura fra Tito e la Russia Sovietica. Come in tutte le sue altre relazioni, il generale Airey, chiese la restituzione del TLT all’Italia, ma aggiunse una nuova considerazione, che cioè la restituzione “risulterà nell’interesse non solo della popolazione di questa Zona, ma anche della pace in questa parte sensibile dell’Europa.”
Nella relazione relativa al primo trimestre del 1949, il generale Airey si preoccupò di riconoscere la nuova diffusa prosperità economica ma negò che dovesse essere attribuita all’indipendenza di Trieste:
“Sarebbe vano ed anzi assai pericoloso attendersi… un pieno ritorno a quel considerevole volume di commercio e di magazzinaggio che raggiunse il suo apice negli anni precedenti la prima guerra mondiale… Non è sulle condizioni del passato che il futuro economico di Trieste può essere ricostruito. Ho ripetutamente rilevato che Trieste, separata com’è dall’Italia, non è più un entità vitale.”
Per il secondo trimestre del 1949, il generale Airey, trattando dei risultati elettorali di giugno, sosteneva che i voti degli indipendentisti erano da attribuirsi agli impiegati del GMA. Nello stesso tempo, dimenticando gli aiuti del PRE, egli dichiarò che gli abitanti della Zona A avevano votato per la restituzione del Territorio Libero all’Italia “come la patria naturale della maggioranza della sua gente e la fonte della prosperità, allorchè l’amministrazione alleata si sarà ritirata.”
Nonostante il fatto che le importazioni e le esportazioni di Trieste si avvicinassero ai livelli raggiunti nel 1938 e in seguito persino a quelli del 1913, il generale Airey, nell’ottava relazione relativa al terzo trimestre del 1949, continuava a ripetere che il TLT non poteva esistere basandosi sulla propria economia:
“… Sono convinto che qualsiasi altra soluzione non solo spezzerebbe i legami etnici e culturali della maggioranza della popolazione, ma porterebbe il territorio attraverso il collasso economico, nell’orbita del totalitarismo comunista.”
Egli raccomandò ancora la restituzione del TLT all’Italia nell’ottava relazione e successivamente nella nona relazione, relativa all’ultimo trimestre del 1949, nella quale scrisse:
“Sono inoltre convinto che qualsiasi tentativo di costruire una economia separata non sarebbe nell’interesse degli abitanti della Zona, e, invece, contrario alla tendenza dell’Europa Occidentale verso una più stretta integrazione economica e unità politica.”
Confrontando queste relazioni con le opinioni espresse nella stampa irredentista, risulta evidente l’uniformità dei motivi rispettivamente addotti a favore della restituzione del TLT all’Italia. Tali motivi possono essere così riassunti: la maggioranza della popolazione voleva questa restituzione; il mantenimento del TLT metteva in pericolo la pace mondiale; il TLT non poteva economicamente esistere; il TLT sarebbe infine diventato preda del blocco comunista; non esisteva a Trieste un vero movimento indipendentista; il movimento indipendentista era sovvenzionato dalla Jugoslavia; il movimento indipendentista otteneva principalmente i voti degli impiegati italiani del GMA e così via.
Quando la situazione internazionale mutò e le potenze occidentali incominciarono a cercare una nuova soluzione per il problema di Trieste, il generale Airey tentò di adattarsi al cambiamento, pur cercando di non sconfessare le sue precedenti opinioni.
Nella sua decima ed ultima relazione per l’anno 1950, egli scrisse:
“E’ mio parere che l’economia di Trieste non può essere separata da quella dell’Italia e che una frattura dell’attuale struttura economica integrata produrrebbe una drastica diminuzione della mano d’opera ocupata e un collasso del tenore di vita… Per converso, sarà ugualmente necessario che l’economia italiana prenda in considerazione la posizione particolare di Trieste quale sbocco per il commercio con i paesi danubiani, essenziale per mantenere in vita i suoi rapporti marittimi e per dare i mezzi di sostentamento alla sua popolazione relativamente numerosa. Non sembra che ci debba essere ragione perchè questi due fattori cardinali non trovino un’ equilibrata stabilizzazione anche se questo processo richiederà uno studio attento e lungimirante.
Come ho così spesso ripetuto nei miei precedenti rapporti, sono del parere che una soluzione permanente e pacifica della questione di Trieste, basata sui bisogni e il benessere degli abitanti della Zona, potrebbe essere raggiunta nel modo migliore del quadro della proposta tripartita del 20 marzo 1948. Sono inoltre convinto che tale soluzione potrebbe essere realizzata nel modo migliore con un accordo tra le parti direttamente interessate.”
Rimane un ultima domanda: fino a qual punto il generale Airey ha semplicemente seguito le direttive del governo inglese e americano, e fino a qual punto ha espresso le proprie vedute personali? E’ vero che Airey non ha mai contraddetto la linea generale della politica anglo-americana riguardo Trieste, ma entro questi limiti egli ha favorito la posizione italiana più del dovuto. Come soldato e come anticomunista, egli vedeva soltanto due parti: quella comunista, slava e filo slava e quella italiana, democratica e filoccidentale. Quando dovette scegliere fra le due, egli scelse quest’ultima. La sua analisi non rivelò la vera e molto più complessa situazione.
Fonte: Bogdan Novak – “Trieste 1941-1954. La lotta politica, etnica e ideologica”