Articolo 15
1. Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza.
2. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza.
L’articolo 6 della Dichiarazione parla di “personalità giuridica” distintamente dalla “cittadinanza”. Quindi, in virtù del riconoscimento giuridico internazionale dei diritti che ineriscono alla persona, questa è soggetto (primario) di Diritto internazionale.
Tradizionalmente concepita, la cittadinanza è una sorta di “ruolino di marcia” per l’esercizio di diritti e doveri della persona all’interno dei singoli ordinamenti nazionali per lo svolgimento di ruoli. In questo contesto, cittadinanza equivale ad appartenenza ad un determinato stato, il quale è il regolatore, più o meno ‘liberale’, più o meno arbitrario, dei diritti di cittadinanza. Cittadinanza nazionale significa diritto-potere di eleggere e di essere eletti in assemblee rappresentative, di ricorrere presso i tribunali, di ricevere certi sussidi in caso di bisogno, di beneficiare della ‘protezione diplomatica’ del proprio paese se ci si muove all’estero, significa dovere di prestare servizio militare o servizio civile (laddove obbligatori), ecc. La cittadinanza nazionale è una concessione dello stato con riferimento a parametri quali lo ius soli (diritto del territorio) o lo ius sanguinis (diritto di sangue).
Con l’avvento del Diritto internazionale dei diritti umani, fa per così dire irruzione sulla scena delle tipologie giuridiche la cittadinanza universale, ovvero lo eguale status di “tutti i membri della famiglia umana’ con corrispettivi ruoli da esercitare dentro e fuori degli stati di appartenenza ‘anagrafica’. Dal punto di vista giuridico-formale e naturalmente storico, le cittadinanze nazionali precedono la cittadinanza universale. Oggi, possiamo e dobbiamo parlare di cittadinanza plurale, nel nostro caso quella italiana e quella del Territorio Libero di Trieste. Questo comporta, per chi vive fra il Timavo ed il Quieto/Mirna – la ridefinizione, meglio la ricostruzione del concetto di cittadinanza in quanto tale.
E’ utile avvalerci della metafora dell’albero. Il tronco raffigura lo status di cittadinanza della persona in quanto titolare di diritti fondamentali internazionalmente riconosciuti. Questi sono le radici del tronco. I rami significano la cittadinanze ‘anagrafiche’ nazionali: italiana, russa, israeliana, palestinese, cinese e del Territorio Libero di Trieste. Ci possono essere i rami dei rami: per esempio, la cittadinanza dell’Unione Europea (per noi impropria) è un ramo della cittadinanza italiana o di qualsiasi altra cittadinanza nazionale dei 27 paesi membri dell’UE. La eventuale cittadinanza veneta o occitana sarebbe un ramo del ramo ‘cittadinanza italiana’, idem per il protettorato italiano del Territorio Libero di Trieste. Guardando bene questo “albero”, ci accorgeremo che i rami non sono innestati nel tronco ma gli fluttuano intorno, peraltro in uno stato di forte sollecitazione a ricomporre la fisiologia dell’albero. E’ la dialettica in atto fra cittadinanza universale e cittadinanze nazionali, come dire tra lo ius humanae dignitatis (diritto della dignità umana) da un lato, e lo ius soli e lo ius sanguinis dall’altra. La sollecitazione che alle legislazioni nazionali – specie in tema di immigrazione – viene dalla cittadinanza universale è oggi atta a ridefinire la cittadinanza nazionale in termini di inclusione.
La cittadinanza universale delle persone sollecita ad aprire spazi per l’esercizio dei corrispettivi diritti, in particolare dei diritti democratici per la legittimazione e il corretto funzionamento delle Istituzioni multilaterali. L’azione dei difensori dei diritti umani, come previsto dalla Dichiarazione-Magna Charta delle Nazioni Unite del 1998 che li riguarda, esperita a titolo individuale o tramite Organizzazioni non governative, è un modo concreto di realizzare i diritti di cittadinanza nazionale e universale. Così anche per i ricorsi giudiziari alle Corti e ai Tribunali internazionali o per le ‘comunicazioni individuali’ ai vari Comitati dei diritti umani delle Nazioni Unite.
La cittadinanza mondiale o planetaria o cosmopolitica preconizzata da personalità carismatiche quali Giorgio La Pira, Padre Ernesto Balducci e Papa Wojtyla è realtà giuridica. Si tratta di rimuovere la pigrizia e il conservatorismo degli adoratori dello stato-nazione-sovrano-armato-confinario con relativa cittadinanza ‘ad alios excludendos’ (costruite nel segno dell’esclusione dell’”altro”), soprattutto nel caso del Territorio Libero di Trieste.
Partendo dai diritti umani non c’è neppure posto per la ‘reciprocità’ nel trattamento dei cittadini da parte degli Stati, all’insegna di: io tratto i tuoi, come tu tratti i miei, se tratti male i miei, io tratto male i tuoi. E’ un parametro mercantile, valido per gli scambi commerciali. Il Diritto internazionale dei diritti umani obbliga lo Stato a dire all’altro stato: io tratto i tuoi cittadini nel rispetto dei loro diritti fondamentali, a prescindere da come tu tratti i miei, sarebbe oltremodo spiacevole per i Cittadini del Territorio Libero di Trieste essere “stranieri due volte.”
La richiesta del Diritto alla Cittadinanza per i Cittadini del Territorio Libero di Trieste, oltre al peso insito nel far valere il principio elettivo a Trieste, ed alle sacrosante richieste del rispetto dei primi 20 articoli dell’all. VIII, costituisce il mezzo diretto più efficace per richiamare in causa chi può e deve rendere de facto esistente il Territorio Libero di Trieste: il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, tramite l’UNHCR.