Con una sentenza del 23 maggio 2024 la CEDU Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato l’Italia per la questione delle intercettazioni telefoniche illegali.
La Corte ha concluso che la legge italiana non offre garanzie adeguate ed effettive contro gli abusi nei confronti di soggetti che siano sottoposti a una misura di intercettazione ma che, poiché non rivestono la qualità né di imputati né di persone sottoposte a indagine, non sono parte del procedimento penale.
In particolare, non esiste alcuna disposizione normativa secondo la quale tali soggetti possano rivolgersi all’autorità giudiziaria, per ottenere un controllo effettivo della legittimità e della necessità della misura e conseguire eventualmente un risarcimento adeguato.
Alla luce di queste carenze, la Corte ha ritenuto che la legge italiana non soddisfa il requisito convenzionale della c.d. “qualità della legge” e non è in grado di mantenere l’ingerenza dello Stato nei limiti di ciò che è “necessario in una società democratica”.
Il 24 giugno 2015, Triest NGO denunciò il governo italiano al Human Rights Council delle Nazioni Unite svoltosi a Ginevra rivelando – guarda caso – l’abnorme numero di intercettazioni telefoniche illegali praticate dall’amministrazione italiana sulla Zona A del Territorio Libero di Trieste, il quintuplo (!) della media nazionale italiana, già di gran lunga superiore alla media europea. Sulla Zona A del TLT nel 2014 il ministero degli interni italiano infatti spese qualcosa come sei milioni di euro per intercettare un numero spropositato di ignari cittadini di Trieste e dintorni.
L’intervento di Triest NGO, di cui riportiamo (link) copia dell’originale in inglese registrata all’OHCHR e (link) traduzione in italiano, fu valutato preventivamente dai dirigenti ONU che ci raccomandarono di rispettare nella lettura il testo concordato.
Va detto che in prima battuta il discorso sarebbe dovuto esser diretto unicamente a render noto alle autorità internazionali l’accanimento giudiziario nei confronti dei pacifici manifestanti inquisiti per il presidio del 10 febbraio 2014 presso le entrate dello scriteriatamente dismesso Porto Vecchio e accusati di una sequela di reati, tra i quali la famigerata/tragicomica “adunata sediziosa”, legge rispolverata per l’occasione dal ripostiglio delle norme mussoliniane del ventennio, ma essendo venuti a conoscenza della spropositata quantità di intercettazioni telefoniche effettuate dall’amministrazione italiana a Trieste, venne spontaneo accostare e riferire ai rappresentanti dei soggetti giuridici internazionali entrambe le forme di violenza.