Cos’è l’usucapione?
E’ un modo per diventare proprietari di un bene senza bisogno di un contratto, di un testamento e, addirittura, senza bisogno di un accordo con il proprietario del bene. (http://www.laleggepertutti.it/25338_lusucapione-cose-e-come-funziona#sthash.nNBIKpHd.dpuf).
Può accadere così che un bene abbia per anni un possessore non proprietario e un proprietario non possessore. Al protrarsi di questa situazione, la legge stabilisce una precisa conseguenza: il proprietario perde il diritto di proprietà e il possessore lo acquista.
Astraendo il processo che regola questo reale diritto su un bene, possiamo riflettere sulla possibilità che ciò sia stato applicato al nostro diritto di essere cittadini?
Cittadinanza in usucapione, potremmo dire…
E se così fosse, autorizzandomi ad una di licenza riflessiva, ciò che trovo stupefacente è che ci siano mancati cittadini del Territorio Libero di Trieste che ritengono sensato l’usucapione subìto.
Evidentemente è da considerarsi banale il ritenere che chiunque sarebbe entusiasta di vivere in un territorio sostenibile, con un regime fiscale limitato (tasse compatibili ai Servizi erogati sul Territorio), abbondanza di possibilità e risorse (lavoro e investimenti) e rispetto dei cittadini (disconoscimento della partitocrazia incapace e distruttiva che attualmente ci amministra).
Ma a Trieste ciò non solo non è banale ma sembra addirittura impossibile. E questo perché il senso di libertà e di giustizia, i diritti di ogni cittadino di questo Territorio, viene minacciato e smantellato con la diffusione di paure e incertezze inoculate e alimentate da una minoranza di soggetti che, fedeli all’oligarchia, sceglie di sacrificare il bene comune con la salvaguardia esclusiva di se stessi e dei loro cari. Ed ecco allora palesarsi il senso della crisi, una condizione che è ormai diventata parametro esistenziale umano, al punto da indurre una disperazione appresa che rende impotenti e manipolabili.
Crisi: dal latino “crisis”, dal geco “krísis”: scelta, decisione.
E con il danno, pure la beffa: quale scelta? Quale decisione?
Il senso di ineluttabilità, di disperazione appresa, di furto del futuro magistralmente indotto dall’uso perverso che i grandi tiranni dell’economia e della politica hanno fatto e fanno della parola “crisi” trova terreno fertile nell’individuo che non ha più una società. E allora c’è da riflettere sul grado di parsimonia e oculatezza con cui è stato costruito il tempo attuale, con cui ci hanno spogliato prima di un’identità personale, poi di un’identità sociale, rendendoci incapaci di difendere ogni nostro più umano diritto.
Cittadinanza per usucapione, dicevamo…
E’ che, per avere una cittadinanza, liberando il campo da paure irrazionali e riscoprendo la realtà oggettiva che ci accoglie e sostiene, bisogna innanzi tutto sentirsi un cittadino. E per sentirsi cittadini, è necessario compiere quel passaggio evolutivo che consente di estendere la visione, rinunciando all’ancoraggio sul proprio interesse e sulla propria paura per cogliere il valore collettivo di un bene. Senza questo passaggio, non solo si diventa artefici della propria condanna e del processo disgregante alla base della distruzione comunitaria ma anche complici nell’autorizzare lo status di sudditanza, accettando passivamente l’oligarchia di cui poi continuiamo a lamentarci.
Eppure, Trieste ha in sé una vivacità identitaria che le ha garantito, un tempo, fasto e splendore e che ora rinnega, intrappolata in una spirale di negazione da cui non sa liberarsi. Manca forse il coraggio, quel coraggio che le permetterebbe di riconoscersi nella propria identità multietnica e di difendere, con orgoglio e sicurezza, la propria potenzialità comunitaria e collettiva.
E’ che la società ha ormai perso la sua funzione, sgretolandosi e sostituendo i progetti di vita, pilastri sociali, con la fragilità dei contratti di lavoro, con la volatilità degli impegni e con la temporaneità dei legami, trasformando questi aspetti irrazionali e assurdi in semplice razionalità. Non sono io a dirlo, è la sociologia ad evidenziare come, in questo modo, la società è diventata sempre più instabile e fragile, diventando una società di individui asserviti.
Immaginiamo di essere in viaggio, tutti sullo stesso aereo. Non sappiamo chi ci sia nella cabina di pilotaggio ma, di tanto in tanto, una voce registrata invia messaggi rassicuranti ai passeggeri. Ad un certo punto, del tutto fortuitamente, si scopre però che l’aereo non è pilotato da nessuno, che procede in linea retta con il suo pilota automatico. All’improvviso, la promessa di un viaggio rassicurante e positivo si trasforma nella sua realtà: un viaggio che non porta da nessuna parte. Non abbiamo idea di cosa i passeggeri possano fare singolarmente, o in gruppo, per modificare e migliorare la situazione. La voce registrata continua con i suoi messaggi rassicuranti ma ora sappiamo che sono solo menzogne. E intanto il tempo passa, il carburante si esaurisce e tutti restano bloccati nella rotta prestabilita, senza via di fuga. Ecco, questo è un’immagine esemplificativa della finta vita che si sta conducendo: il carburante che si esaurisce corrisponde ai nostri risparmi erosi, ai diritti persi, ai posti di lavoro che non ci sono e che non ci saranno più, sacrificati sull’altare della menzogna e dell’individualismo.
In qualche modo, questo è il nocciolo del problema, il punto critico attorno al quale ruota la possibilità di rinascita della nostra società e della nostra cultura, perché nel momento in cui ci si rende conto della menzogna che ci vincola, allora ci si rende pure conto che la vita del cittadino è un bene comune e non un bene individuale; ci si rende conto dell’importanza della scelta della linea aerea che dovrebbe garantire un viaggio rassicurante.
E questo è il grande assente di oggi: una società che è percepita dai suoi membri come un bene comune, un dono collettivo da difendere perché difende tutti i suoi componenti, un bene da curare, gestire e dirigere attraverso l’impegno proattivo della collettività.
Ecco perché ciò che ciascun membro fa, o si astiene dal fare, conta; ecco perché fare o non fare una cosa fa la differenza o, meglio, è l’unica differenza che conti davvero.
Così è per il diritto alla nostra cittadinanza.
C’è ancora qualcuno che, dalla torre di controllo, sta cercando di garantire l’arrivo a destinazione e il proseguimento del viaggio. E poi c’è chi innalza il livello di allerta con chiacchiere sulla crisi, per confondere e far perdere il contatto radio con la torre di controllo, in modo da guidare l’aereo verso destinazioni a loro più congeniali. Sono quelli che parlano di tutto tranne di risorse e di lavoro, quelli che non discuteranno mai di un progetto reale e fattibile, che sia in grado di restituire la dignità che solo il lavoro sa e può dare, confrontandosi con il cittadino sui modi e sui tempi di attuazione, sui costi e sui benefici di ogni scelta; sono quelli che parlano di argomenti irrilevanti o di secondaria importanza poiché non si preoccupano di restituire al cittadino la dignità. Sono quelli che navigano a vista e che, quando il carburante sarà esaurito, non saranno al nostro fianco.
Non permettiamo che si scelga la compagnia sbagliata; una volta saliti su quell’aereo non c’è più ritorno.
Aiutiamo chi desidera vivere la garanzia del futuro e diventiamo responsabili della nostra scelta.