Hate Speech, Social Media and Minorities
THIRTEENTH SESSION OF FORUM ON MINORITY ISSUES
United Nations, 19-20.11.2020
testo dell’intervento di TRIEST NGO
Trieste, storicamente e culturalmente, è una città multiculturale e plurilingue e la comunità di madrelingua slovena fa parte da secoli del tessuto sociale del territorio.
Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un crescendo dell’odio nazionalistico italiano nei confronti della componente slovena del Territorio di Trieste, innescato soprattutto, ma non solo, dalla componente politica di destra e veicolato facilmente tramite il social media Facebook.
L’intervento di TRIEST NGO al Minority Forum focalizzato sul tema “Hate Speech, Social Media and Minorities”, si concentra nel segnalare questo preoccupante fenomeno di crescente odio ed incitamento alla discriminazione ed intolleranza nei confronti della comunità linguistica slovena di Trieste, promosso soprattutto dai partiti nazionalistici italiani ed innescato per fini di strumentalizzazione e propaganda politica dalla componente politica di destra, grazie anche al quasi totale silenzio/assenso delle autorità ed istituzioni pubbliche locali e degli altri partiti, messaggi poi lanciati e divulgati facilmente tramite il social media Facebook.
Per riportare qualche esempio: l’allora presidente dell’europarlamento Antonio Tajani (Forza Italia), il 10 febbraio 2019 durante la cerimonia presso la foiba/miniera di Basovizza pronunciò la frase “Viva Trieste, viva l’Istria italiana, viva la Dalmazia italiana”, “evviva coloro che difendono i valori della nostra patria” e nella stessa occasione l’allora Ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini (Lega) “I bimbi morti nelle foibe e i bimbi di Auschwitz sono uguali”. O ancora, la sprezzante e illegittima risposta del vice sindaco di Trieste Paolo Polidori (Lega) alla Presidente della Circoscrizione dell’Altipiano Ovest, Maja Tenze, alla sue lecite osservazioni rivolte al Comune di Trieste sulla violazione delle norme di tutela della minoranza nelle comunicazioni tra amministrazioni pubbliche che qui riportiamo dal Piccolo del 10 agosto 2020: “Trieste – replica Polidori – fino a prova contraria, è Comune di lingua italiana, perciò se alla Presidente Tenze sta a cuore la traduzione in lingua slovena, provveda lei a farla fare” riposta alla quale, per peggiorare la situazione, si è aggiunta l’altrettanto irricevibile e canzonatoria frase del sindaco di Trieste Roberto Dipiazza (Forza Italia): “Girerò la lettera della Tenze al presidente della Slovenia”. Per non parlare delle ripetute provocazioni da parte di CasaPound, movimento fascista come da loro stessi orgogliosamente affermato, rivolte alla comunità linguistica slovena di Trieste ed ai loro simboli di appartenenza. Oppure, riportiamo ancora ad esempio, il ricorrente quanto mai sbagliato “qui siamo in Italia e si parla italiano” proferito da agenti delle forze di polizia nei confronti di cittadini di Trieste che richiedono solamente di poter interloquire con le pubbliche autorità nella loro madrelingua slovena, come previsto dalla legge.
Questi messaggi, tollerati – o peggio – propagandati appunto anche da autorità e figure istituzionali italiane, tendono a presentare la comunità autoctona slovena come aliena, indesiderata e priva di diritti propri, in primis quello dell’uso della loro madrelingua nel rapporto con le istituzioni pubbliche, proseguendo così idealmente con tale condotta la “bonifica etnica” iniziata nel 1924 dal Fascismo.
Nel dopoguerra, a seguito dei crimini nazifascisti, la comunità internazionale ha riconosciuto la necessità di sancire la proclamazione dei Diritti fondamentali dell’uomo con l’impegno di tutti gli Stati membri dell’ONU al concreto compimento del rispetto dei più alti princìpi morali, dei diritti e delle libertà fondamentali dell’individuo, affinché determinate prevaricazioni non potessero più ripetersi.
I diritti paritetici dell’uso della lingua slovena sanciti dal Trattato di pace di Parigi del 1947 (Allegato VI, articolo 7), dalle convezioni internazionali contro le discriminazioni e dalle leggi di tutela (legge 38/2001) troppo spesso restano tali solo sulla carta, sconosciute ed ignorate, se non proprio tacitamente rifiutate, anche dalle autorità pubbliche e dalle figure istituzionali italiane a Trieste.
Inoltre, in 70 anni non c’è mai stata stigmatizzazione ufficiale da parte delle autorità amministrative italiane sulle gravi conseguenze delle leggi razziali fasciste subite dalla comunità slovena di Trieste. Questa voluta mancata ha reso possibile ancor oggi la rilettura parziale storica dei fatti avvenuti in quel periodo e la loro strumentalizzazione ai fini politici, della quale la continua propaganda sulle “foibe”, ne è l’esempio più lampante.
Questo insalubre costante flusso mediatico diffuso tramite i social e i media, del tutto fuori controllo, ha generato un crescendo di episodi allarmanti, sfociati anche in situazioni di inammissibile violenza.
Alla fonte di questa intolleranza ci sono i seguenti fattori:
- la disinformazione, cioè la voluta e mancata corretta informazione da parte degli organi di informazione locali inerente le leggi di tutela ed i relativi diritti dei soggetti appartenenti alla comunità linguistica slovena;
- la misinformazione, cioè l’utilizzo dei canali di informazione quale strumento politico per influenzare l’opinione pubblica, soprattutto da parte dei partiti nazionalistici italiani supportati dall’ampio spazio a loro dedicato, con messaggi di incitamento all’intolleranza veicolati anche grazie a pagine Facebook di giornali web locali con rilevante numero di followers.
- la mancata adozione di efficaci misure da parte delle istituzioni e delle autorità pubbliche rivolte alla cittadinanza atte a contrastare l’effetto della disinformazione/misinformazione indirizzata all’intolleranza e agli hate speech;
- Un’inadeguata (o del tutto assente) formazione rivolta ai funzionari pubblici e pubblici ufficiali operanti sul territorio, tra cui le stesse forze di polizia (i cosiddetti “tutori della legge”), sulle leggi di tutela ed il diritto all’uso della madrelingua slovena. Ciò significa anche una relativa e sostanziale inadeguatezza dei vertici e dirigenti pubblici dell’amministrazione italiana responsabili di tale mancata formazione sui loro sottoposti.
Riteniamo che il modo per contrastare questa condotta pregiudizievole e violenta, consista nell’adozione di misure efficaci da parte delle pubbliche istituzioni rivolte a tutte le parti interessate atte a favorire:
- un percorso conoscitivo della Storia del territorio e sulle conseguenti e successive leggi di tutela e parificazione della lingua slovena a Trieste, dei trattati e convenzioni internazionali, che permetta quindi la comprensione dei loro contenuti, dei principi in esse espressi, per assicurare che le persone appartenenti a questa comunità possano esercitare pienamente ed effettivamente tutti i loro diritti umani e libertà fondamentali nel rispetto della dignità umana, senza alcuna discriminazione ed in piena uguaglianza davanti alla legge;
- un percorso conoscitivo ed informativo che permetta la conoscenza delle responsabilità personali, causate dalla loro non conoscenza e/o inosservanza, così come dall’intolleranza e discriminazione che ne può scaturire.
La carta delle Nazioni Unite proclama il riconoscimento della dignità inerente la persona umana e dei diritti, uguali ed inalienabili, quale fondamento della libertà e giustizia. Allo stesso tempo, impone agli Stati membri l’obbligo di promuovere il loro rispetto ed osservanza, in considerazione del fatto che l’individuo in quanto appartenente ad una collettività ha diritti ma anche dei doveri verso gli altri individui.
La questione principale nell’affrontare questo problema, consiste quindi, nel ricordare che l’Italia ha l’obbligo di far conoscere e di far rispettare i diritti riconosciuti della comunità linguistica slovena a Trieste in parità di diritti e di trattamento sull’uso della madrelingua, così come nel ricordare che la responsabilità dell’adozione di misure efficaci che portino al pieno ed effettivo godimento di questi diritti è in capo alle autorità ed istituzioni pubbliche che amministrano il Territorio.
Il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, ratificato dall’Italia con legge n. 881 del 25 ottobre 1977, delinea quali siano i diritti riconosciuti e che gli Stati membri sono tenuti a promuovere a far rispettare.
L’articolo 19 riconosce il “diritto alla libertà di espressione” ma pone anche delle necessarie limitazioni e cioè afferma che questa libertà è un diritto fin tanto che essa non vada a ledere il rispetto dei diritti o della reputazione altrui e della morale pubblica. L’articolo 20 invece vieta qualsiasi appello all’odio nazionale che costituisce incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza e sancisce anche che tale condotta deve essere vietata dalla legge.
Inoltre, al suo articolo 27 afferma che “in quegli Stati in cui esistono minoranze etniche, religiose o linguistiche, alle persone appartenenti a tali minoranze non verrà negato il diritto, in comunità con gli altri membri del loro gruppo, di godere della propria cultura, professare e praticare la propria religione o usare la propria lingua”.
L’articolo 27 del Patto è anche il cardine sul quale si fonda la “Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche” adottata con risoluzione n. 47/135 dell’Assemblea generale del 18 dicembre 1992, in questa sede oggi richiamata.
Nella stessa Dichiarazione viene richiamata anche la “Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale“, ratificata anche dall’Italia con la legge n.654 del 13 ottobre 1975. L’obiettivo della Convenzione è quello di raggiungere il compimento di uno degli scopi prefissati dalle Nazioni Unite: sviluppare ed incoraggiare il rispetto universale ed effettivo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali senza distinzioni, nemmeno quello della lingua.
A tal fine, l’Italia con l’adozione della Convezione e l’attuazione del suo articolo 4, si è impegnata “a non permettere né alle pubbliche autorità, né alle pubbliche istituzioni, nazionali o locali, l’incitamento o l’incoraggiamento alla discriminazione” e a considerare crimini contro l’eguaglianza punibili dalla legge: la propaganda o incitamento alla discriminazione e ogni atto di violenza derivante; a dichiarare illegali ed a vietare le organizzazioni e le attività di propaganda organizzate ed ogni altro tipo di attività di propaganda che incitino alla discriminazione.
Queste disposizioni, sconosciute ai più, sono state rese effettive con l’articolo 3 della legge di ratifica del 1975 della Convezione, dal 2018 divenuto l’articolo 604 bis del codice penale italiano (Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa).
Per effetto della legge 38/2001 “Norme a tutela della minoranza linguistica slovena della regione Friuli-Venezia Giulia” e della legge 482/1999 “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche “, queste disposizioni penali, si applicano anche per reprimere e punire i fenomeni di intolleranza e violenza ai danni dei cittadini della comunità linguistica slovena.
Senza un’adeguata educazione culturale e coscienza civica collettiva per mezzo di una pubblica divulgazione, informazione, conoscenza ed assimilazione, da sole le leggi e le convezioni, difficilmente possono fermare l’hate speech alla fonte. Dev’essere nell’interesse comune e della comunità, disciplinare una cultura condivisa tra gruppi linguistici maggioritari e minoritari che convivono nello stesso Territorio.
Sollecitiamo pertanto l’adozione di misure efficaci da parte delle istituzioni e delle autorità pubbliche atte a reprimere tali crescenti fenomeni di incitamento all’odio e all’intolleranza linguistica e ricordiamo allo stesso tempo le ben definite responsabilità per le proprie violazioni.